IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento n. 5498/1994 r.g.n.r., n. 856/1994 r.g. pretura nei confronti di Nelson Jessica per il reato di cui all'art. 7-bis della legge 28 febbraio 1990, n. 39. 1. - Il 22 giugno 1994 alle ore 15,10, Jessica Nelson, cittadina nigeriana, veniva arrestata da militari dell'Arma dei Carabinieri di Azzate: il 24 giugno 1994 e' stata presentata al pretore per l'udienza di convalida e contestuale giudizio direttissimo, sulla base dell'imputazione formulata dal pubblico ministero per il delitto di cui all'art. 7-bis della legge 28 febbraio 1990, n. 39, introdotto dal d.-l. 14 giugno 1993, n. 187, convertito in legge 12 agosto 1993. L'arresto e' stato convalidato; non e' stata applicata alcuna misura cautelare; l'imputata ha chiesto il giudizio abbreviato ed il pubblico ministero vi ha consentito. Il giudizio in corso non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 7 e 7-bis della legge 28 febbraio 1990, n. 39; ritiene il pretore remittente che l'art. 7-bis della legge 28 febbraio 1990, n. 39, si ponga in contrasto con la Costituzione; e cosi' pure l'intero art. 7 della stessa legge: non solo perche' la norma sopra citata ha veste sanzionatoria rispetto a statuizioni dell'art. 7, ma anche perche' in quest'ultimo si disciplina complessivamente un'attivita' amministrativa generatrice di provvedimenti oggetto di officioso esame di legittimita', ai sensi dell'art. 5 della legge n. 2248/1865 allegato E, ogniqualvolta il giudice penale - come in questo caso - sia chiamato ad applicare l'art. 7-bis. L'art. 7-bis punisce con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni la condotta dello straniero che, dopo l'emissione di un provvedimento di espulsione dal territorio italiano distrugga il passaporto o documento equipollente per sottrarsi al provvedimento di espulsione o che non si adoperi per ottenere il rilascio dei documenti di viaggio. 2. - La formulazione della norma viola ad avviso del remittente, il principio di tassativita', elevato a principio costituzionale dall'art. 25, secondo comma, della Carta. Nella prima delle ipotesi delittuose (distruzione di documento) il legislatore ha costruito un reato commissivo a dolo specifico; la condotta materiale vi appare sufficientemente descritta; puo' soltanto osservarsi come la prova dell'elemento soggettivo risulti praticamente impossibile. Nella ipotesi di "mancata attivazione", per contro, la formulazione della fattispecie e' tanto approssimativa da non consentire la ricostruzione e classificazione del reato. Se si trattasse di un reato permanente il soggetto attivo sarebbe in condizione di rimuovere una situazione antigiuridica volontariamente instaurata e mantenuta "adoperandosi" per ottenere il documento di viaggio: ma non e' dato comprendere dalla formulazione della norma quando si instauri quel minimo di mantenimento della situazione offensiva necessario per la sussistenza del reato: e cio' in quanto manca qualsiasi coordinamento con l'art. 7 anche attraverso riferimenti temporali e decorrenze precise, tali da consentire, sotto altro profilo, di stabilire se l'adempimento del dovere di attivarsi sia soggetto a termine perentorio o ordinatorio; se l'"adoperarsi" del soggetto possa utilmente intervenire in qualsiasi momento; se via sia una lesione perdurante dopo una scadenza precisa. Sembra pero' ugualmente da escludere che ci si trovi di fronte ad un reato (omissivo proprio) istantaneo (eventualmente - laddove si accetti questa classificazione - con effetti permanenti): perche' si dovrebbe individuare un momento iniziale qualificato nel quale si integra (ma non si esaurisce) l'offesa: e questo dovrebbe essere - in difetto di specifica indicazione nelle norme - il primo momento utile all'extracomunitario per "adoperarsi": ma poiche' il contenuto semantico di questo termine non rinvia ad una realta' percepibile con sufficiente certezza, quel momento tende a coincidere, logicamente e temporalmente, con il momento stesso della notifica del decreto di espulsione. Sicche' da subito l'extracomunitario sarebbe arrestabile, ai sensi dell'art. 7-bis, secondo comma, qualora la sua prima e unica attivita' dopo essere stato espulso non fosse quella di recarsi presso l'autorita' diplomatica o consolare per ottenere il documento di viaggio. Cosi' pure dovrebbe procedersi ad immediato arresto, ai sensi della norma da ultimo citata, subito dopo la conclusione di un processo nel quale l'extracomunitario fosse stato condannato per violazione dell'art. 7-bis o dell'art. 7.12-sexies della legge n. 39/1990 con il beneficio della pena sospesa, se appena letto il dispositivo non si dirigesse immediatamente al proprio consolato; ed ancora si dovrebbe arrestare il soggetto scarcerato ed a suo tempo colpito da provvedimento di espulsione non appena uscito dall'istituto di custodia per fine pena; stessa sorte - nell'indeterminatezza della fattispecie - dovrebbe avere l'extracomunitario che ad esito dell'udienza di convalida nella quale non fosse stata applicata alcuna misura cautelare (o una misura diversa dalla custodia in carcere o dagli arresti domiciliari) chiedesse un termine a difesa, con la volonta' di partecipare al processo e quindi di permanere nel territorio italiano fino alla conclusione di questo (posto che l'art. 7.12-quinquies riguarda altro ambito, in relazione all'art. 7.12- bis; e comunque anche un'applicazione estesa della norma non copre attivita' complementari inerenti la posizione processuale dell'espulso, del tipo colloqui con il proprio difensore fuori dell'udienza: con conseguente ulteriore ipotizzabile violazione dell'art. 24, primo comma, della Costituzione). E gli esempi non finiscono qui posta la varieta' delle combinazioni che rimangono irrisolte dal difetto di tassativita' della fattispecie. La migliore riprova dell'insufficiente determinatezza della fattispecie sta in due dati di esperienza applicativa delle norme di cui si tratta: da un lato i destinatari del precetto non appaiono in grado di conoscerne il contenuto: a soggetti con scarsa conoscenza della lingua italiana scritta vengono consegnati documenti prestampati contenenti espulsione ed intimazione, eventualmente tradotti in una lingua europea loro assegnata come presumibilmente conosciuta in base ad ascendenze coloniali; con questo atto formale il funzionario pubblico ha "chiuso la pratica" consegnando un soggetto ignaro del presidio sanzionatorio al suo "mancato adoperarsi" alle cure della giustizia penale come unica alternativa alla clandestinita'. E dall'altro lato, la violazione del principio di tassativita' produce l'effetto tipico di pregiudicare l'obbligatorieta' dell'azione penale, posto che, al fine di dare un minimo di effettivita' alle norme, nella prassi le procure della Repubblica presso le preture tendono ad aggiungere alla formulazione testuale elementi ulteriori (tipicamente il numero di mesi trascorsi in Italia dallo straniero dopo l'espulsione) che consentano un esercizio "ragionevole" dell'azione penale. 3. - Gli artt. 7 e 7-bis della legge n. 39/1990, violano l'art. 24, primo comma, in relazione all'art. 113, primo comma, della Costituzione; infatti, quand'anche non si dovesse ritenere sussistente il lamentato difetto di tassativita', nel concetto di "mancato adoperarsi" di cui all'art. 7-bis - stante la sua formulazione comunque estremamente generica - dovrebbe rientrare qualsiasi comportamento attivamente finalizzato ad opporsi alle determinazioni dell'autorita' amministrativa: ricorrere in via amministrativa o in via giurisdizionale amministrativa contro il provvedimento di espulsione e' comportamento diametralmente opposto all'attivarsi per lasciare il territorio italiano e manifesta opposta volonta'; ed allora il normale esercizio del diritto di difesa, che l'art. 24, primo comma della Costituzione garantisce a "tutti" senza distinzione di cittadinanza; l'invocare la tutela dei propri interessi legittimi nelle forme previste dalla legge: devono ritenersi comportamenti che l'eventuale legittimita' (successivamente riconosciuta) del provvedimento di espulsione farebbe retrospettivamente qualificare come penalmente rilevanti: il che pare in deciso contrasto con le norme costituzionali citate. Si aggiunga che l'art. 113 della Costituzione articola complessivamente il diritto alla tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione in maniera tale da non lasciare alcuna zona d'ombra: laddove dichiara ammessa "sempre" la tutela giurisdizionale contro gli atti della p.a. (primo comma); vieta esclusioni o limitazioni di tutela (secondo comma); demanda alla legge la disciplina strutturale e funzionale dei relativi "organi di giurisdizione". Nell'art. 7, settimo comma, per contro, si prevede che a seguito dell'intimazione lo straniero debba abbandonare entro quindici giorni il territorio dello Stato non potendo quindi sfruttare, come qualsiasi altro soggetto, i termini piu' ampi previsti per i ricorsi amministrativi e giurisdizionali amministrativi; si tratta di contrasto non componibile a livello interpretativo, non essendo in alcun modo verificabile la natura eventualmente derogatoria del citato settimo comma. Se poi, come emerge dall'art. 7, undicesimo comma, si ammette che il provvedimento di espulsione possa riguardare soggetto del quale e' ignota l'identita', si prevede l'emanazione di un provvedimento amministrativo strutturalmente carente di un elemento essenziale (il destinatario); con cio' dando per scontata la mancanza del vaglio fondamentale di legittimita' degli atti da compiersi da parte della stessa amministrazione, presupposto per consentirne l'esame eventuale da parte del giudice amministrativo. 4. - Gli artt. 7 e 7-bis della legge n. 39/1990, violano l'art. 24, terzo comma, della Costituzione; il cittadino extracomunitario incorso in provvedimento di espulsione, se non abbiente (e questa e' la realta' nella quasi totalita' dei casi concreti) non ha la possibilita' di farsi assistere nelle forme previste dalle leggi sul gratuito patrocinio in controversie in cui possa far valere un proprio diritto in Italia: qualsiasi sua iniziativa per ottenere quanto garantito (a cittadini italiani e non) dalla citata norma costituzionale ne svelerebbe la posizione irregolare; e soprattutto costituirebbe - nei limiti in cui, poste le dubitative premesse in punto di tassativita', e' possibile dare senso alla norma - comportamento contrario a quanto richiesto dall'art. 7-bis; e comunque, ancora sotto il profilo del contrasto con l'art. 24, primo comma, della Costituzione, deve osservarsi che esercitando in sede giurisdizionale qualsiasi proprio fondato diritto, l'extracomunitario si dovrebbe consapevolmente esporre ad indagine su un proprio comportamento penalmente rilevante. Il sistema delineato dagli artt. 7 e 7-bis della legge n. 39/1990 e' quindi tale da creare una categoria di soggetti assolutamente privi di concreta possibilita' di tutela giurisdizionale dei propri diritti: con evidente contrasto con le norme costituzionali da ultimo richiamate; che crea una categoria di contraenti debolissimi, i quali mai potranno difendersi legalmente dagli abusi di controparti consapevoli di questa condizione. 5. - Piu' volte la Corte costituzionale ha avuto occasione di ripetere che l'esercizio della discrezionalta' del legislatore esula dal giudizio di legittimita' costituzionale: ma non si puo' ritenere che il legislatore scegliendo di attribuire rilevanza penale a taluni comportamenti possa spingersi sino a violare il principio costituzionale della personalita' della responsabilita' penale di cui all'art. 27, primo comma, della Costituzione anche nella sua veste di altissima espressione del rifiuto di utilizzare l'individuo e le sue liberta' in maniera puramente strumentale. E qui ci si trova di fronte ad un uso della sanzione penale del tutto confliggente con il principio costituzionale, posto che se ne fa un succedaneo della ordinaria attivita' amministrativa. Si da' cioe' per acquisita l'incapacita' della pubblica amministrazione di portare ad esecuzione i propri provvedimenti (di espulsione): e si fa della nuova figura del "provvedimento amministrativo esecutivo ineseguibile" il presupposto di un reato. Si sanzionano penalmente comportamenti direttamente o indirettamente oppositivi del privato all'esecuzione del provvedimento di espulsione: comportamenti che rispetto ad una ordinata ed efficiente attivita' amministrativa dovrebbero risultare comunque superabili. Sicche' la responsabilita' penale sara' in radice esclusa nel caso in cui l'amministrazione esegua effettivamente (come dovrebbe essere naturale) i propri provvedimenti; mentre vi potra' essere nei casi in cui l'amministrazione sia incapace di portare ad esecuzione il provvedimento di espulsione. E si verra' in questi casi a condannare a pena detentiva un individuo per l'incapacita' dell'amministrazione di eseguire a tempo debito il proprio provvedimento di espulsione. La conferma si trova nell'art. 7; in cui si prevede (ai commi quinto e settimo) l'"accompagnamento alla frontiera", con intervento coattivo effettivo dell'autorita' amministrativa: ma anche (sempre nel settimo comma) l'"esecuzione" dell'espulsione "mediante intimazione" ad abbandonare il territorio dello Stato. Con evidente finzione di attivita' amministrativa. La norma finisce con l'essere costruita per consegnare alla giustizia penale "esemplarmente" gli stranieri espulsi che certamente non lasceranno il territorio nazionale (senza riuscire a vivere in clandestinita', privilegio riservato a chi puo' contare su strutture di sostegno, magari criminali) perche' e' del tutto irragionevole pensare che essi si attiveranno in supplenza di un'autorita' amministrativa non attrezzata per rendere effettivi i propri provvedimenti (anche attraverso il contatto diretto ed istituzionale con quelle autorita' diplomatiche e consolari alle quali l'espulso, ignorandone spesso esistenza ed ubicazione, dovrebbe senza ritardo dirigersi). 6. - Infine, se la Repubblica, in forza dell'art. 2 della Costituzione, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, non pare giustificato da esigenze di tutela della collettivita' ne' dalla cura di altro interesse costituzionalmente tutelato che ai cittadini extracomunitari incorsi in provvedimenti di espulsione venga offerta - dalle norme che si rimettono all'esame della Corte costituzionale - come unica alternativa alla sanzione penale della reclusione minima di sei mesi o all'effettivo ritorno in Paesi che la divisione internazionale delle risorse e del lavoro ha reso luoghi in cui e' dubbia la possibilita' di fisica sopravvivenza, la negazione della propria identita' e la rinuncia a qualsiasi diritto. Per evitare di porre a repentaglio la propria vita; per evitare di essere condannato a una pena detentiva, l'extracomunitario espulso relativamente al quale la pubblica amministrazione italiana non sia stata in grado di rendere effettivi i propri provvedimenti, rimarra' in Italia senza la possibilita' di identificarsi con un nome e senza la possibilita' di ottenere qualsiasi tutela giuridica, sanitaria, sociale. Il che pare eccedere il ragionevole esercizio della discrezionalita' del legislatore che la Costituzione consente - in relazione alla diversa posizione dello straniero - nei termini riconosciuti dalla Corte costituzionale (sentenze: n. 244/1974; n. 62/1994).